Daniel Mantovani, scrittore di argentino di grande successo emigrato da tempo in Spagna, vince il Premio Nobel per la letteratura e annuncia contestualmente il suo ritiro dalle scene. Nei giorni seguenti è inondato da richieste di partecipazioni a prestigiosi festival letterali e interviste con importanti quotidiani e televisioni. Lui però decide a sorpresa di accettare l’invito del comune di Salas, un piccolo paesino argentino che gli ha dato i natali e l’ispirazione per molte delle sue opere. Il suo “ritorno a casa” però, sarà piuttosto sconcertante…

E’curioso che Il Cittadino Illustre arrivi nelle sale italiane (dopo il grande successo ottenuto al Festival di Venezia, dove il meraviglioso Oscar Martínez ha giustamente vinto il Premio come miglior attore) a pochi giorni dal “gran rifiuto” di Bob Dylan di recarsi a Stoccolma a ritirare il Premio Nobel per la letteratura, premio che, nella finzione cinematografica, “rompe” le certezze del protagonista, facendogli iniziare un percorso a ritroso, nel tempo e nello spazio, che lo porterà a partire dopo 40 anni di esilio volontario per il suo Paese natale.

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Curioso, sì, perché Il Cittadino Illustre, oltre ad essere una commedia di gran gusto e rara intelligenza, è anche il più feroce, cinico e realistico ritratto dell’”intellettuale” tout court degli ultimi anni: un uomo geniale, certo, ma anche un po’ snob e un po’ ipocrita, pronto a rimangiarsi la parola data e mettere da parte l’aplomb ed etica professionale se gli si presenta in camera d’albergo una groupie letteraria bella e disinibita.

La lenta ma inesorabile discesa agli inferi di Mantovani, inizia fin dal momento in cui scende dall’aereo (la sequenza del viaggio è un film nel film) e prosegue tra momenti grotteschi (le “lectio magistralis” tenute di fronte ad una sparuta platea che non capisce una parola di quanto detto), comici (la parata sul carro dei pompieri, l’intervista alla tv locale e il concorso di pittura) e sardonici (la cena a casa dell’ex fidanzata).

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Dietro le risate però, c’è tanta amarezza: quella di un popolo e di un paese costantemente umiliato (perché no? Anche in campo letterario, si pensi al Nobel mai assegnato a Borges) e che, come accade in tutte le province del mondo (anche in quelle americane, come dimostrano i fatti) pare talvolta totalmente sganciato dal mondo reale e dalle sue (meritevoli?) conquiste. La distanza ed il successo, del resto, generano diffidenza e sospetti ad ogni latitudine.

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Il cittadino illustre, grazie ad una sceneggiatura perfetta, firmata dai registi Mariano Cohn e Gastón Duprat, è un piccolo grande saggio antopologico, che si presta a molteplici letture e interpretazioni, ma che centra in pieno il duplice obiettivo di intrattenere e fare riflettere sulle distanze, talvolta incolmabili, che separano anche persone della stessa etnia, razza e religione.

Come ai tempi dell’indimenticabile Il Segreto dei suoi occhi, il cinema argentino dimostra una freschezza e vitalità senza eguali: la riflessione finale sul rapporto osmotico tra verità e finzione (con tanto di gran colpo di scena annesso) dimostra che anche al cinema, così nella vita di tutti i giorni, la realtà può superare la fantasia. Visione imprescindibile.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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